Neuroscienze per la gestione delle relazioni interpersonali e la soluzione dei conflitti



A metà degli anni ’80, Giacomo Rizzolatti dell’Università di Parma individua i "neuroni specchio". Da allora l’importante scoperta ha un’eco sempre più vasta. Il team parmense esamina l’area ventrale della corteccia premotoria di una scimmia, il macaco. Si scopre così che vi sono neuroni che rispondono in modo selettivo a gesti con un certo scopo: per esempio, un neurone può attivarsi quando la scimmia allunga il braccio per afferrare il cibo con la mano e portarlo alla bocca, mentre non si attiva quando compie il gesto di afferrare un oggetto non commestibile. 



Uno sviluppo interessante è quello per cui si parla di “neuroni specchio”. È stato scoperto che quello stesso neurone è attivo quando una scimmia ne osserva un’altra che afferra del cibo e se lo porta alla bocca. Non solo: il neurone risponde anche quando un uomo compie quel gesto, o quando l’intera traiettoria del movimento non è visibile, a condizione che lo scopo del gesto sia chiaro. Con un’altra tecnica meno invasiva, quella delle neuro-immagini, si dimostra che neuroni specchio sono presenti anche nel cervello umano. 



Si tratta di scoperte rilevanti perché permettono di risalire alle basi biologiche dell’empatia e delle patologie caratterizzate da difficoltà nelle relazioni sociali, come diverse forme di autismo.



La scoperta delle basi biologiche dell'empatia ha reso popolare questa nozione presso i non addetti ai lavori. Tanta è la popolarità di tale nozione che il presidente degli Stati Uniti Barack Obama in molti discorsi parla di “deficit di empatia”. 



Quando Charlie Rose, giornalista, gli chiede che cosa sia quest’empatia di cui parla sempre, egli risponde: «Si tratta della capacità di mettersi nei panni altrui e di non giudicare le cose soltanto dal nostro punto di vista». Se vi comportate così, sarete anche capaci di compassione – termine altrettanto ricorrente nei discorsi di Obama. 



È questo sentimento che favorisce scelte altruistiche nei confronti d’individui e minoranze svantaggiate. Essendo ormai note le basi biologiche dell’empatia, viene spontaneo domandarsi se la mancanza di empatia sia causata da un deficit biologico. 



Nel saggio La scienza del male Simon Baron Cohen (2012, p. 19) immagina che nel cervello ci sia il circuito dell’empatia: «Esso determina la quantità di empatia (QE) che avete. Chiamiamolo meccanismo di empatizzazione. Sulla base del QE possiamo stabilire che il meccanismo di empatizzazione definisce vari livelli. Si parte con il livello 0 di empatia, quando una persona non capisce che cosa possa provare l’altro, ed è quindi priva di senso di colpa e rimorso, per arrivare al livello 6, quando si è continuamente focalizzati sui sentimenti degli altri. È come se il “circuito dell’empatia fosse in uno stato di costante ipereccitazione”».



Baron Cohen descrive il sesto livello tramite il profilo della psicoterapeuta Hannah: «[…] Hannah ha il dono naturale di sintonizzarsi sul modo con cui gli altri si sentono […] non lo fa perché è il suo lavoro […] è così con i suoi clienti, ma anche con gli amici e perfino con gente appena incontrata […] ha un irresistibile impulso a empatizzare».



Di Paolo Legrenzi e Rino Rumiati



Per saperne di più:




Corso su Empatia, Intelligenza Emotiva e Scienze Cognitive a cura di Paolo Legrenzi e Rino Rumiati


Neuroscienze per la gestione delle relazioni interpersonali e la soluzione dei conflitti


Milano, 8-9 novembre 2019


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