1) Considerato inizialmente come una nevrosi, il PTSD (Disturbo Post-Traumatico da Stress) è stato oggetto di numerose ricerche scientifiche. Da tali studi sarebbe emersa una correlazione tra il PTSD e il sistema limbico umano, un complesso costituito da una serie di strutture cerebrali e di circuiti neuronali presenti nella parte più profonda e antica del cervello. Potremo dire quindi che esiste una sorta di legame tra la dimensione cerebrale più ancestrale dell’uomo e il PTSD? Quali sono le aree cerebrali che vengono maggiormente “attaccate” dal PTSD?



Diciamo che il PTSD è collegato ai meccanismi di reazione agli stimoli di pericolo, che coinvolge aree sviluppatesi precocemente nel corso dell’evoluzione. Sono le stesse che predispongono alle reazioni di attacco, fuga o immobilizzazione quando ci troviamo di fronte a un’emergenza. Se stimolate in modo abnorme, in soggetti vulnerabili si possono instaurare delle reazioni a catena che, in un circolo vizioso, portano allo sviluppo della patologia. Il PTSD compromette i circuiti cerebrali collegati alla risposta allo stress, e con essi, dunque, strutture quali il giro del cingolo, l’amigdala, l’ippocampo. Quest’ultimo, in particolare, sembra subire danni considerevoli nei soggetti con PTSD a causa dell’effetto tossico dei corticosteroidi, andando incontro ad atrofia.



2)  Ci possono essere conseguenze a lungo termine?



Il rischio è quello di una cronicizzazione del disturbo, come spesso si osserva nei pazienti, e anche quello di una significativa compromissione delle capacità mnesiche.Si tratta di aspetti che possono migliorare con il trattamento, anche se, naturalmente, le possibilità di recupero sono maggiori se si accede precocemente alle cure. La compromissione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, inoltre, può essere responsabile anche dell’aumentata insorgenza di patologie di tipo autoimmuni nei soggetti con PTSD cronico.



3) Negli Stati Uniti, il DSM riporta che il disturbo colpisce il 5% degli uomini e il 10% delle donne. La sua incidenza può essere in qualche modo correlata al genere di appartenenza?



Secondo la letteratura, le donne sono generalmente più vulnerabili degli uomini allo sviluppo di PTSD. Le cause possono essere molteplici: ci sono fattori di tipo genetico e neurobiologico, come il differente assetto cerebrale e ormonale nei due sessi, che può, tra le altre cose, predisporre alla messa in atto di diverse strategie di coping. Sono stati chiamati in causa anche fattori ambientali, quali la maggior probabilità nel sesso femminile di subire abusi fisici o traumi interpersonali, così come la minore probabilità di ricevere un’educazione volta a reagire in modo attivo in situazioni di emergenza.



4) Quali sono i trattamenti più efficaci per affrontare tale disturbo e quali risultati hanno ottenuto?



Ci sono molti trattamenti disponibili per il PTSD, che permettono una terapia personalizzata. Ogni caso infatti è unico, e deve tenere conto delle diverse comorbidità che possono insorgere, del tipo di evento, dei fattori personologici e del contesto sociale. In genere, è richiesta una terapia di tipo farmacologico, che può essere affiancata a strategie psicoterapiche. I risultati dipendono anche dal momento in cui il caso giunge all'attenzione clinica: di solito, più la diagnosi e l’accesso alle cure sono precoci, maggiori sono le possibilità di risposta positiva al trattamento, fino anche alla remissione completa della patologia. Al contrario, nei casi cronici, che non hanno ricevuto attenzione immediata e che si sono complicati con altri disturbi, è richiesto un trattamento più lungo e complesso, e le possibilità di risposta diminuiscono.



5) L’aumento dell’informazione, anche grazie a Internet, su attentati, violenze, guerre e catastrofi naturali se da una parte ci ha portato oggi sicuramente a una maggiore sensibilizzazione su questi temi, dall'altra ci pone sempre più spesso di fronte a eventi scioccanti e sconvolgenti che ci influenzano emotivamente. Come gestire questo aspetto?



È importante, come prima cosa, non assumere un atteggiamento passivo di fronte agli eventi. Essere informati sul mondo che ci circonda, compreso su quello che può accadere nelle situazioni di emergenza, aver ricevuto un’educazione su come comportarsi e quale strategie mettere in atto per proteggersi, sono aspetti che possono fare la differenza, aiutando a prevenire quel senso di impotenza e orrore che può sia compromettere la nostra capacità di mettere in atto strategie utili a limitare i danni, che favorire lo sviluppo di disturbi post-traumatici. Inoltre, a seguito dell’evento, l’assumere un atteggiamento attivo, volto alla risoluzione del problema anziché al mantenimento dello status quo, la ricerca di supporto sociale ed, eventualmente, medico, è un altro elemento cruciale per impedire lo sviluppo e/o la cronicizzazione del disturbo.



Note sull'autrice



La Prof.ssa Liliana Dell’Osso è direttore dell’Unità Operativa di Psichiatria e della Scuola di specializzazione in Psichiatria dell’Università di Pisa. Vicepresidente della Società Italiana di Psichiatria, è inclusa nella Top Italian Scientists della Virtual Italian Academy, nella Top Italian Women Scientists e nel catalogo online delle scienziate italiane 100esperte.it. È autrice e coautrice di oltre 600 pubblicazioni su riviste scientifiche e di saggi, tra cui L’altra Marilyn. Psichiatria e psicoanalisi di un cold case (Le Lettere, 2016) e L’abisso negli occhi. Lo sguardo femminile nel mito e nell’arte (ETS, 2016).



Per approfondimenti sul tema:



La cura del tempo. Superare i disturbi post-traumatici con la nuova psicologia della Prospettiva Temporale 



CAPS (Clinician-Administered PTSD Scale) Il “gold standard” diagnostico per il disturbo post-traumatico da stress



CAPS-CA (Clinical Administered PTSD Scale for Children and Adolescents) La CAPS adattata per bambini e adolescenti



DSM-5 in Action La prima edizione italiana della guida all'utilizzo del DSM-5