Introduzione


Nel seguente articolo parleremo delle buone pratiche per una diagnosi ottimale di ADHD. Approfondiremo anche la diagnosi differenziale e quella dei disturbi in comorbilità, facendo riferimento alle Conners 3.



1. La valutazione dell'ADHD



Come specificato dal DSM-5, la diagnosi di ADHD deve prevedere la raccolta di molteplici modalità di informazioni.


Tra queste sono inclusi i colloqui (con i genitori, il ragazzo e gli insegnanti), l’osservazione (in un contesto clinico, a casa e a scuola), le valutazioni cognitive, le scale di valutazione del comportamento (genitore, insegnante e autovalutazione).


Una diagnosi accurata include anche informazioni ottenute da diversi informatori come i genitori, gli insegnanti, il ragazzo, i terapeuti e altri professionisti che si occupano del caso.


È necessario raccogliere informazioni sul funzionamento del ragazzo in differenti contesti, come a casa, a scuola e nella comunità (ad esempio, in ambienti dedicati alla religione, al parco, in strutture pubbliche).


Questi criteri (modalità multiple, informatori multipli e contesti multipli) aiutano a stabilire quanto siano persistenti e pervasivi i sintomi di ADHD del ragazzo e permettono di capire se essi causino una compromissione del funzionamento.


È possibile e auspicabile ottenere informazioni anche da insegnanti diversi, perché il comportamento del ragazzo può variare a seconda della materia o del momento della giornata.


Se il ragazzo vive in più di un contesto domestico, è possibile raccogliere informazioni da più di un genitore. L’American Academy of Pediatrics (AAP, 2000) ha sviluppato delle linee guida sulla pratica clinica per la diagnosi e la valutazione dei bambini con ADHD.


Le linee guida affermano che alcune scale di valutazione specifiche per l’ADHD permettono di distinguere chiaramente tra bambini con e senza ADHD, indicando specificamente le Conners’ Rating Scales – Revised (CRS-R; Conners, 1997) come uno strumento potente per questa differenziazione.



2. ADHD: diagnosi differenziale e disturbi in comorbilità



È necessario considerare la possibilità che un ragazzo abbia diagnosi in comorbilità con l’ADHD. A volte il clinico valuta le possibili diagnosi differenziali (cioè, se un ragazzo ha l’ADHD piuttosto che un’altra diagnosi).


A volte la valutazione non riguarda l’alternativa tra due disturbi, ma se, oltre alla diagnosi di ADHD, sia presente un altro quadro clinico (ossia, se vi sia una diagnosi in comorbilità).


Quando sono presenti due o più diagnosi, è possibile che una sia primaria e una secondaria (ad esempio, le conseguenze dell’ADHD possono portare allo sviluppo di un disturbo dell’umore di tipo secondario), ma può anche accadere che vi sia una co-occorrenza indipendente delle due diagnosi.


A prescindere dal fatto che sia primario, secondario o simultaneo, l’ADHD è associato ad alti tassi di diagnosi in comorbilità.


Sino al 60% dei bambini con ADHD ha almeno un’altra diagnosi in co-occorrenza, e molti di questi bambini hanno diagnosi multiple (Jensen et al., 2001; Jensen, Martin e Cantwell, 1997).


Un ampio studio epidemiologico sull’ADHD (Jensen et al., 2001) ha riportato che il 70% di un campione di soggetti con ADHD aveva almeno una diagnosi aggiuntiva.


In questa analisi, il 40% del campione con ADHD aveva anche l’ODD. Il 14% dei bambini con ADHD aveva anche il CD. Quasi il 30% del campione con ADHD aveva un disturbo d’ansia in comorbilità, il 10% del campione con ADHD aveva un disturbo da tic.


Infine, il 4% del campione con ADHD aveva un disturbo dell’umore in comorbilità. Altre ricerche hanno trovato che una percentuale tra il 25 e il 33% dei ragazzi con ADHD sperimenta un episodio depressivo durante l’età evolutiva (Biederman, Newcorn e Sprich, 1991).


Le statistiche nazionali indicano che almeno un terzo di tutti i bambini con ADHD ha delle disabilità nell’apprendimento (National Institute of Mental Health [NIMH], 1999).


Uno studio riguardante i bambini con disturbi del linguaggio ha riscontrato che è molto probabile che i bambini con ADHD abbiano anche deficit a livello del linguaggio espressivo (Beitchman, Nair, Clegg, Ferguson e Patel, 1986).


L’uso di sostanze (ad esempio, alcol, nicotina) è un’area critica per le persone con ADHD. Studi longitudinali dimostrano che le persone con una storia di iperattività durante l’età evolutiva possono avere un rischio maggiore per l’uso di alcol rispetto a persone che non hanno tratti di ADHD (Smith, Molina e Pelham, 2002).


Anche i tassi di uso di nicotina sono più elevati negli adulti con ADHD rispetto alla popolazione generale (Pomerleau, Downey, Stelson e Pomerleau, 1995).


Alcune ricerche suggeriscono che le persone che non hanno ricevuto un trattamento appropriato per i sintomi di ADHD siano più inclini all’uso di sostanze rispetto a coloro che hanno ricevuto un trattamento, forse come tentativo inconscio di auto-medicarsi (Lambert e Hartsough, 1998).


I fumatori di sigarette che hanno cercato e ricevuto il trattamento per l’ADHD da adulti hanno riferito che fumano meno, senza che questo comportamento sia frutto della loro intenzione. 



C. Keith Conners, Conners 3rd Edition, Conners 3 Manuale, Adattamento italiano di Caterina Primi e Dino Maschietto, 2008, 2017 Multi-Health Systems Inc. Copyright internazionale valido in tutti i Paesi aderenti all’Unione di Berna, alla Convenzione Universale e a quelle bilaterali del diritto d’autore, L’edizione italiana è tradotta, adattata e pubblicata da Giunti Psychometrics S.r.l. – Firenze su licenza di Multi-Health Systems Inc.



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